
Per Sasha. Che la terra ti sia lieve.
Chi ci copre le spalle nel deserto? Quando il mondo dei vivi sembra abbandonarti, a chi guardare, dove trovare nutrimento? Una creatura si scopre sola ma sola non è. Dietro di lei antiche presenze si fanno corpo e le inviano doni che faciliteranno il suo percorso di crescita. Libri che la creatura assaggerà a denti stretti, divorerà, con cui farà l’amore. Libri pesche dolci, kiwi, fragole. Una volta sazia, il mondo dei vivi le apparirà meno spaventoso. Vi rientrerà, consapevole d’esserci, lei, e del compito che d’ora in poi sarà il suo.
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Pensando poco, sentendo molto, intorno al lavoro che stiamo facendo su “C’est (à) moi” corto teatrale ispirato all’opera di Monique Wittig:
“Vorrei poterti dire che la strada è piana e larga. Che ogni pietra è stata già dissotterata. E niente potrà più uscire fuori dal presente, come un grosso ratto da sotto il letto, di notte. Vorrei poterti dire di buttare gli stivali di gomma, che di alluvioni ne abbiamo avute abbastanza; di inghiottire la saliva, quella che un tempo curava i tagli in testa, perchè la strada, ora, è liscia e larga. Qui si cade ma non brucia. Si soffre per divertimento. La casa vuota è solo uno scherzo. I mondi sono così mutati. Vorrei poterti dire. Ti porterei in trionfo il trofeo di antiche pelli morte. Vorrei poter avere la certezza di poterti dire che abbiamo fatto abbastanza: perchè tu possa camminare scalza, possa scegliere di perderti dovunque voglia ma restare salva. Le spalle coperte dai giusti nomi -i tuoi-, la libertà di non doverti educare da sola. Essere vista. Ma non posso, farei un torto alla fiera dallo sguardo brillante che ti guida e già mi mostra, con rabbia, tra le righe, molte nuove pietre, stivali rotti, altre ferite e poca saliva. La pelle dei vecchi mondi non è ancora essiccata come dovrebbe. Non credo riuscirò a soffiare sulla polvere in tempo, a veder espresso questo mio forte desiderio. Faresti questo discorso per me, quando potrai, a chi ci sarà? Sii onesta se puoi ma non preoccuparti tanto del vero.”
Veronica Pinto
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